Ho conosciuto Gessica durante il Meeting di Rimini 2023. Entrambe eravamo guide volontarie alla mostra "La grande inquietudine: Charles Péguy e la città armoniosa" insieme a Camplus. Una sera l’ho sentita parlare della sua esperienza di tutorato al Polo Universitario Penitenziario di Catania. Mi sono incuriosita subito, quindi ho deciso di farle qualche domanda.
Ciao Gessica, la prima (e forse più ovvia) domanda che voglio farti è questa: cosa ti ha spinto a partecipare al bando e a metterti in gioco?
Ciao! È andata così. Una mia amica e collega dell’università faceva questa attività da qualche mese, sapeva che da lì a breve sarebbe uscito il nuovo bando e mi ha proposto di partecipare. Io le ho chiesto di raccontarmi la sua esperienza. Da quello che mi diceva e dall’entusiasmo con cui lo raccontava, ho capito che stava ricevendo molto dall’attività. Quindi, quando è uscito il bando ho partecipato, sapendo comunque che c’era anche la possibilità di non essere presa, visto che sono richiesti dei requisiti specifici. Invece poi sono risultata vincitrice assieme ad altri due ragazzi del mio corso.
Parlami un po’ del Polo Universitario Penitenziario.
Prima di partecipare al bando non sapevo che esistesse la realtà del Polo Universitario Penitenziario. Infatti, l’Università di Catania lo ha istituito solo nel 2019, ma comunque è molto funzionante. Anzi, è il Polo Universitario con il più alto numero di tutor, dato l’alto numero di detenuti che c’è in Sicilia. Credo che proprio per questo motivo il fatto che ci sia questa possibilità sul territorio è molto importante. Infatti noi al momento seguiamo studenti che si trovano non solo a Catania, ma anche ad Augusta, Noto e Caltanissetta. Alcuni degli istituti in cui lavoriamo sono anche carceri di massima sicurezza, come quello di Augusta, mentre altre sono case circondariali, dove spesso i detenuti devono scontare pene più lievi. C’è una differenza perché chi si trova nelle case circondariali spesso vorrebbe utilizzare la laurea anche per rifarsi un futuro dopo il carcere. Per altri, invece, è anche un modo per comprendere meglio sé stessi.
Ma pensare che lo studio per loro sia un passatempo è sbagliato: in realtà molti di loro lavorano, o dentro al carcere o fuori, grazie a dei permessi speciali. Quindi non hanno tanto tempo da dedicare allo studio. Se scelgono di intraprendere questo percorso è perché ci credono, non perché vogliono ottenere qualcosa.
Sapere che c’è sempre una seconda possibilità, sei d’accordo?
Sì, credo che tutti abbiamo bisogno di aiuto o di supporto. Ognuno di noi nella vita può commettere degli errori, ma non è giusto che per questo ci vengano precluse altre esperienze.
Com’è lavorare con loro?
Non abbiamo mai cercato di instaurare un rapporto verticale “insegnate-studente”. D’altronde siamo colleghi, perciò abbiamo voluto creare un rapporto alla pari, come se stessimo aiutando un collega in aula studio. Il nostro compito è soprattutto quello del supporto allo studio.
Tuttavia, rispetto all’aiuto all’amico in difficoltà, la situazione è anche diversa perché hanno bisogno di una figura che faccia da intermediario. Ad esempio, non possono contattare direttamente il docente. Oppure hanno anche bisogno di qualcuno che fornisca loro tutto il materiale didattico, specialmente i libri.
Gli studenti poi non sono tutti uguali: c’è chi è più autonomo nello studio e chi no. C’è chi ha più bisogno di un supporto emotivo… Una cosa che mi colpisce sempre è che, quando loro devono sostenere gli esami, hanno le paure tipiche di tutti noi universitari.
Quindi possiamo dire che siamo tutti sulla stessa barca?
Sì. Non me lo aspettavo, anche perché molti di loro sono adulti.
Per questo non c’è mai stata una distanza fra noi tutor e loro, ma abbiamo sempre cercato di essere disponibili da compagni di corso. Infatti io e gli altri miei colleghi siamo tutor junior, perché siamo ancora studenti. Invece, chi ha già conseguito la laurea magistrale è tutor senior e ha maggiori responsabilità.
Capita di uscire anche dal ruolo “ufficiale” perché spesso gli studenti si confidano spontaneamente con noi durante le nostre lezioni.
Si crea anche un bel rapporto di fiducia fra voi e loro…
Sì sì, assolutamente. Infatti la differenza la fa il lato umano. Ci vogliono delle competenze, ma quello che importa veramente è l’umanità di ciascuno di noi tutor. La prima volta che sono entrata in un istituto ero un po’ spaventata. Ma in realtà si crea un rapporto di fiducia reciproca molto bello. È un’esperienza che mi sta dando molto e mi sta facendo capire molte cose su di me e su quello che mi circonda. Il confronto con loro mi ha aiutato a crescere e a ridimensionare le piccole difficoltà quotidiane. Mi è andato male un esame? Non è la fine del mondo. Si rifà.
Siete in tanti voi tutor?
Siamo un buon numero, ma in realtà molti posti rimangono scoperti, questo è successo soprattutto nell’ultimo bando. Ma credo che sia dovuto alla paura di non avere tempo per studiare. Può essere un progetto molto impegnativo da gestire perché ci sono tante cose da fare, soprattutto burocratiche: bisogna scegliere la data dell’esame, scrivere al docente, procurare i libri e il materiale didattico. Chiaramente sono impegni che possono occupare gran parte della giornata. Inoltre, la sessione dei detenuti coincide con la nostra.
Be’ un po’ come tutti i lavori part-time, no?
Sì. Ma è anche un’esperienza gratificante. Infatti anche quando il monte ore previsto dal bando si conclude rimaniamo in contatto con loro, perché poi il rapporto che si crea non si può spezzare da un momento all’altro. Anche la referente del progetto, la prof.ssa Consoli, è riuscita a creare una squadra molto umana e unita. Riesce a tenerci tutti molto legati e ha creato negli anni un gruppo molto coeso: anche fra noi tutor, sia junior che senior, c’è un bel rapporto di fiducia e supporto reciproco.
So anche che svolgi attività di volontariato in un’associazione.
Sì, infatti, sono una volontaria dell’Associazione Cappuccini, che opera nell’omonimo quartiere di Catania, uno dei più difficili.
Quando è nata l’associazione? E di cosa ti occupi tu nello specifico?
L’associazione è nata una ventina di anni fa grazie all’iniziativa di una studentessa del Liceo Classico Spedaleri di Catania, che ha proposto alla sua insegnante di religione di aiutare i bambini e le famiglie del quartiere in difficoltà. L’associazione oggi svolge tante attività, io nello specifico lavoro allo Studiamoinsieme, il doposcuola per i bambini e i ragazzi che hanno bisogno di supporto nello studio. Uno dei principali obiettivi che si propone l’associazione è ostacolare il più possibile la dispersione scolastica, un fenomeno molto diffuso.
Cerchiamo di creare un rapporto uno a uno con ogni ragazzo, così da instaurare amicizia con ognuno di loro. I bambini e i ragazzi ci cercano, ci raccontano quello che gli succede e si preoccupano se per qualche motivo la lezione deve saltare. Anche questa è un’esperienza molto gratificante.
Da quanto tempo svolgi l’attività?
Ho cominciato quando frequentavo ancora la triennale, poi ho continuato. Anche in questo caso, il rapporto che si crea è tale da rendere brusca e difficile la separazione con i ragazzi, almeno finché hanno ancora bisogno di aiuto. Ho anche coinvolto mia sorella e altri studenti che vivono con me al Camplus di Catania.
Ah che bello! Quindi siete in tanti a svolgere la stessa attività?
Purtroppo no. Anche in questo caso le adesioni sono poche. Il motivo principale è dovuto al tempo che questa attività può togliere allo studio. Ma se riflettessimo un po’ di più sul tempo che sprechiamo scrollando la home di Instagram o Tiktok, ci renderemmo conto che in realtà abbiamo tantissimo tempo da poter dedicare all’attività di volontariato perché il Doposcuola non è mai solo doposcuola.
Si ringrazia Gessica Scollo per la bellissima intervista.
Foto di Giuseppe Russo.
Articolo a cura di Maria Francesca Mortellaro, Studentessa del Camplus Bononia